Una delle sezioni più interessanti del festival cinematografico di Locarno, se addirittura la più interessante, è senza ombra di dubbio quella creata in onore di Herzog, Signs of life, che, tra gli altri, ha presentato quella folgorazione unica che è Los ausentes (Messico/Spagna/Francia, 2014, 80′). Con Antigona despierta (Spagna, 2014, 63′), presentata anch’essa nella sezione di cui sopra ci si immerge (lentamente) invece in territori differenti, ma la potenza visiva della pellicola di Lupe Pérez García, connazionale di registi del calibro di Marc Recha, Albert Serra, Mercedes Álvarez e Lois Patiño, ammalia quasi allo stesso di quella di Nicolás Pereda. L’inizio, soprattutto, e così la fine, che ricordano da vicino quell’incredibile sequenza che sta all’inizio del capolavoro di Reygadas, Post tenebras lux (Messico, 2012, 155′), ma così pure la seconda parte, più assimilabile invece agli spazi di Le monde vivant (Belgio/Francia, 2003, 71′) o dell’inarrivabile Aita (Spagna, 2010, 82′) e al minimalismo di un Portabella. Lupe Pérez García, però, si muove in territori più avanguardistici rispetto ai succitati registi e a esclusione, forse, di Reygadas, e riesce infine nell’intento di risvegliare l’Antigone, risveglio che, come racconta il mito, implica una compenetrazione di due mondi, quello dello spirito e quello della materia, il mondo degli umani e l’Ade, ed è giusto questa compenetrazione a svegliare Antigone, non però dal sonno della ragione quanto, piuttosto, dalla ragione stessa, una ragione che il mondo occidentale ha visto sempre più tribalizzarsi nella legge del (maschio bianco) più forte. Tutto ciò accade nella finzione (la recitazione palesata nella lettura della sceneggiatura) di un passato (i vestiti dei personaggi) che è presente (i luoghi), sì da rapportare la realtà a una dimensione a-temporale, forse addirittura non materica, che è, appunto, il punto d’incontro tra l’Ade e il mondo degli umani. Lì, Antigone si risveglia e un motociclista-caronte la traghetta nel tempo, tra i tempi: una speranza inconsolabile, forse, ma strutturata in maniera tale da risultare ineluttabile – e se non ora, almeno in un altrove il cui tempo ci è sconosciuto.
Poor Yorick